Un po' di storia

“Chi canta al Signore, prega due volte!” Con queste parole, pronunciate con un affetto certo, ma condito da una sottile ironia, Don Bruno Minghetti, prete romagnolo della vecchia guardia, volto intagliato nella roccia reso mobile ed espressivo da un incredibile paio di cespugliose sopracciglia bianche, sentiva il bisogno di giustificare l'intensa attività canora di quel gruppo di ragazzi la cui fede sembrava esprimersi non tanto in opere pie e sessioni di preghiera, ma dispiegando le ugole a più non posso in ogni occasione liturgica.

Don Bruno era arrivato ad impugnare saldamente le redini delle parrocchie di Maiero e Sandolo dopo la metà degli anni 70, armato di una fede autentica e profonda, sostenuta da certezze e valori incrollabili, impreziosita da un amore per la cultura non banale e dominata dall'ansia di convertire e di portare tutti sulla retta via della conoscenza. Il che lo rendeva uomo di non facile approccio, ma persona carismatica e interessante, capace di animare la vita religiosa e sociale di due paesini ai margini della Diocesi di Ravenna, il cui ritmo era scandito dalla vita agricola e in cui i centri di aggregazione erano due: il bar e la parrocchia.

Da vero stratega del cattolicesimo, Don Bruno aprì le porte delle canoniche di Maiero e Sandolo e, sfruttando le mirabili abilità di arzdora romagnola della solerte e sempre sorridente Maria (sorella e angelo del focolare dell'intraprendente e vulcanico sacerdote), diede vita a serate di letture, discussioni, esegesi bibliche, chiacchierate e...assaggi di piadina, invitando tutti, ma principalmente gli under 20, certo che in quei cuori pieni di entusiasmo fosse più naturale seminare la parola di Dio.

Era il secondo Don Bruno che tentava l'impresa.

Il primo fu Don Bruno Mazzolani, anche lui romagnolo, ma assai più sanguigno e meno intellettuale del suo successore. Mazzolani, uomo del popolo e per il popolo, concreto, energico, pane al pane e vino al vino, sosteneva e guidava il suo gregge a suon di carriole di cemento e olio di gomito. Sottana svolazzante a cavallo del suo “Galletto” rosso fiammante, lavorava alacremente e senza sosta già da anni alla gestione della parrocchia di Maiero, di cui era amato arciprete, quando, per carenza di vocazioni, nel 1972 gli fu affidata anche quella di Sandolo.

Prese talmente sul serio l'incarico da dedicarsi con risultati notevoli a restaurare e a riportare ad antico splendore la chiesetta intitolata a San Michele Arcangelo.

Lo fece proprio con le sue mani, compiendo una specie di miracolo che suscitò stupore e gratitudine più o meno in tutti i sandolesi.

Indubbiamente l'operazione incrementò l'afflusso dei fedeli che la domenica assistevano alla messa. Le suorine dell'asilo di Maiero diedero inoltre, con la loro presenza, un tocco in più ed ebbero il merito di insegnare anche alle bambine di Sandolo inni religiosi “moderni” in parziale sostituzione delle antiche melodie che fino a quel momento avevano sottolineato con grande semplicità i passi salienti dell'orazione domenicale.

Le ragazzine intonavano quei nuovi canti con voce sicuramente incerta e non proprio aggraziata, ma con un fervore e una partecipazione che, spesso, strappavano un incoraggiante “brave!” agli astanti.

L'appuntamento settimanale in chiesa era anche una bella occasione d'incontro e cantare insieme era piacevole e gratificante, come le chiacchiere che seguivano la funzione religiosa. Il tempo scorreva lento e rassicurante in quel frammento di Pianura Padana.

La vera svolta arrivò con l'arrivo di Don Minghetti, per mezzo del quale si verificò un avvicinamento tra i gruppi di ragazzi che gravitavano attorno alle due parrocchie, avvicinamento peraltro fortemente agevolato da un'amicizia preesistente. Da quelle parti ci si conosceva, magari anche solo di vista, da sempre.

Ecco, all'inizio di tutto ci fu, semplicemente, una grande amicizia, condita con l'energia di cui i giovani sono per natura portatori sani.

Fu l'amicizia spensierata a rendere compatti quei ragazzi anche nei momenti di inevitabile conflittualità e Don Bruno, sempre lungimirante e ottimista, pur cauto e scettico per alcuni comportamenti un po' troppo esuberanti, arrivò a concedere le chiavi della canonica della pieve di S. Michele Arcangelo per organizzare feste che attiravano anche chi non era esattamente praticante (la speranza di convertire nuove pecorelle per il suo gregge da parte del buon sacerdote fu tanta e tale in molti casi rimase).

Intanto all'ombra dei due campanili si cantava, eccome se si cantava!

Erano comparse anche un paio si chitarre ad arricchire il tutto. Non fu facile coordinarsi, intendersi, tenere a bada intemperanze, ma il filo delle note non lo si perdeva mai.

La ricetta era: una parte di Maiero, una parte di Sandolo, una chitarra di Sandolo e una di Maiero, molta voglia di stare insieme, molto entusiasmo, una bella dose di creatività e di divertimento, un 'gran sacerdote' pienamente investito nella sua missione apostolica e una singolare ma provvidenziale “cuoca” che spesso mescolava e versava gli ingredienti nella teglia giusta. Si chiamava Santina Curti, meglio nota al mondo come Mery Bruni. Sì, perchè tutta quell'energia andava indirizzata nel modo giusto, era un valore aggiunto, e come tale non poteva essere sprecata.

Cantando e cantando le voci andavano migliorando, le iniziative e le occasioni in cui utilizzarle aumentavano. A Sandolo e Maiero, sotto l'abile regia di Don Bruno e del suo manipolo di fedelissimi, ferveva una intensa vita non solo religiosa. I gruppi attivi nelle due parrocchie erano una fucina di idee: incontri sociali e culturali (come non ricordare i suggestivi concerti nella Pieve di S. Michele fortemente voluti da quel prete fine estimatore di musica classica?), l'allestimento di un memorabile presepe artigianale e di un ancora più memorabile presepe vivente (diventato un'istituzione), una straordinaria, quasi epica, “via crucis” animata dai ragazzi...

Nella prima metà degli anni 80 la “Corale di Maiero-Sandolo” (appellativo coniato dal Don) era ormai una realtà consolidata e apprezzata, le trascinanti e sentite omelie di Don Bruno erano incorniciate e in un certo senso sottolineate da canti in cui si avvertiva l'emozione forte di chi le eseguiva.

Le prove erano diventate un appuntamento irrinunciabile, momenti di incontro, ma anche di scontro, di risate, di entusiasmi, di confidenze. Spesso, in inverno, si abbandonavano le fredde navate delle due chiese e si approfittava della generosa ospitalità della maestra di cerimonie Mery Bruni che incoraggiava e sosteneva il tutto con sublimi e ipercaloriche cioccolate in tazza a base di pura nutella.

In quei mitici 80 il gruppo canoro subì diverse metamorfosi evolutive, con vari arrivi e partenze. Alla prima, volonterosa, chitarra se ne aggiunsero altre. Molto entusiasmo salutò l'ingresso di fratelli minori, cugini, mariti, fidanzati, nuovi amici incuriositi dalla situazione. Alcuni elementi furono indimenticabili meteore, altri divennero granitiche colonne. Determinante per un vero salto di qualità fu l'arrivo della timida Elisa, maestra di musica e pianista del conservatorio, che iniziò a disciplinare le voci. Si affacciarono alla ribalta le prime ricercatezze armoniche, i canti a più voci, il brivido del canto “a cappella”. Qualcuno, risucchiato dalla realtà lavorativa o famigliare, lasciava il gruppo, ma veniva rimpiazzato da nuove leve, in un piacevole ricambio generazionale che rendeva l'esperienza ancora più viva ed energica.

Fu così che il coro passò a voci spiegate attraverso incantevoli notti di Natale e magiche veglie pasquali, cerimonie, matrimoni, feste del patrono... E passò, suo malgrado, anche attraverso le lacrime del lutto. Il sorriso di Daniela, dolce e determinata, dal forte temperamento artistico, si spense davvero troppo presto, e fu dolore autentico, ancora oggi indimenticato. La malattia e la mancanza inaspettata del valoroso condottiero Don Bruno Minghetti fu un momento veramente difficile per le sue parrocchie. Anche in queste occasioni, pur con voce flebile, il coro c'era, unito e compatto, a salutare per sempre un'amica e a cantare una messa in cui, e sembrava irreale, l'officiante non era quello di sempre, quello con le incredibili sopracciglia che si muovevano velocemente dietro gli occhiali.

Era un modo per pregare due volte? Chissà... Di sicuro fu un'esperienza che nutrì per bene lo spirito di chi la visse e ancora ha la fortuna di viverla.

Sono trascorsi più di vent'anni da quando ho intrapreso una strada che mi ha allontanato dal coro e da Sandolo, ma, ogni volta che assisto a una funzione religiosa arricchita da una colonna sonora, sento ancora risuonare in me le voci di quei ragazzi e se c'è una canzone che conosco, che apparteneva al 'nostro' repertorio, mi viene da cantare più forte che posso, come a richiamare quell'energia, quell'entusiasmo che ci teneva uniti. E mi sembra di non aver perso quel sottile filo di note che mi faceva sentire tanto bene e più vicina alla spiritualità.

Non so perché ci piacesse tanto cantare... Forse era davvero un modo di pregare due volte? Chissà... Di sicuro fu un'esperienza che nutrì per bene lo spirito di chi la visse e di chi ha ancora la fortuna di viverla.


3 marzo 2011, Luciana Marinello